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La relazione di aiuto con persone LGB (intervista a Daniel Giunti)

Il Dott. Simone Pesci  intervista Daniel Giunti, Psicologo, Psicoterapeuta e Sessuologo, co-fondatore del centro di sessuologia “Il Ponte” e docente della formazione “La relazione di aiuto con persone Lesbiche, Gay e Bisessuali (LGB)” promossa da ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca.

 

 

-Perché è importante che i professionisti delle relazioni di aiuto siano ben formati per condurre i loro percorsi professionali con persone LGB?

Di frequente l’omosessualità viene ancora considerata un’”anormalità”, se non addirittura una patologia. Molti professionisti delle relazioni di aiuto non sono immuni da pregiudizi negativi nei confronti degli individui omosessuali. Spesso i pregiudizi si propagano a causa di una scarsa formazione ed informazione. Diventa quindi estremamente importante promuovere la formazione e l’aggiornamento sui temi legati all’orientamento sessuale, al fine di fornire interventi non patologizzanti, liberi da pregiudizi e quindi efficaci.

 

-L’American Psychological Association ha predisposto alcune linee guida a proposito di utenti LGB. Che cosa sono e a che servono?

Le linee guida dell’American Psychological Association sono state pubblicate nel 2012 e tradotte in Italia nel 2013 da Lingiardi e Nardelli, con la finalità di aiutare i professionisti della salute mentale ad assumere approcci adeguati nella pratica clinica con utenti e pazienti non eterosessuali. Scopo anche quello di colmare, almeno in parte, le lacune formative e di fornire ai professionisti della salute mentale gli strumenti di base per riconoscere e affrontare senza pregiudizi i temi che possono riguardare la vita delle persone LGB e delle loro famiglie.

 

-Secondo la sua esperienza clinica di psicologo-psicoterapeuta e sessuologo, quanto pesa nel successo relazionale la consapevolezza che il professionista ha dei propri (eventuali) livelli di omofobia?

Trovandoci immersi in una realtà con alti livelli di omofobia sociale, è difficile pensare di esserne completamente immuni. Per divenirne consapevoli ed elaborarla di norma è necessario un lavoro personale. L’inconsapevolezza da parte del terapeuta delle proprie credenze omofobiche può portare ad una collusione con l’omofobia interiorizzata del paziente, rendendo impossibile per la persona un’integrazione positiva della propria omosessualità. Per questo, la consapevolezza da parte del professionista dei propri livelli di omofobia è il primo passo per fornire all’utente uno spazio di ascolto/terapeutico che favorisca una crescita e un apprendimento “nel modo meno condizionante possibile”. Tale atteggiamento di ascolto libero da pregiudizi, migliora la relazione con l’utente, che si può sentire compreso e non giudicato e quindi affidarsi al professionista.

Nel ringraziare il Dott. Daniel Giunti per avermi rilasciato questa intervista su un tema professionalmente così rilevante, vi invito a visitare il sito dell’ISFAR e a chiedere maggiori informazioni sul corso da lui tenuto.

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