Articoli, Formazione, Metodi e Strumenti

Psicologia del lutto: dai modelli descrittivi alla pratica clinica

Una panoramica sui concetti di lutto, lutto complicato, sui modelli descrittivi e sulle modalità di intervento psicologico clinico a cura del Dott. Simone Pesci, docente del corso Isfar “Psicologia del lutto e della sua elaborazione”.  Di seguito un estratto di un suo articolo apparso sulla Rivista Nuovi orizzonti n°15 (luglio-dicembre 2015). 

 

Il lutto e il lutto “complicato” (“prolungato” o “non risolto”)

 

Il lutto è il sentimento di dolore che si prova per la perdita, in genere, di una persona cara. In psicologia si identificano con il costrutto del lutto tutti i forti sentimenti e stati mentali derivati da accadimenti più o meno improvvisi che generano sofferenza o che hanno un forte impatto psicologico e/o che presuppongono una modifica nella vita della persona: si va quindi dalla perdita del lavoro alla separazione, dall’interruzione di un legame significativo alla morte di una persona cara ecc. (Pesci, 2014). Nella lingua italiana si possono distinguere il lutto (riferito all’esperienza) e il cordoglio (riferito al dolore), ma generalmente, soprattutto nella letteratura scientifica sull’argomento il termine lutto assume una duplice valenza. Nella lingua inglese invece si possono distinguere bereavement (riferito alla perdita per decesso), grief (riferito ai comportamenti e sentimenti della perdita) e mourning (riferito alle espressioni sociali in risposta alla perdita e al cordoglio, compresi i rituali funebri). L’elaborazione del lutto consiste in una ricostruzione di una nuova struttura di significato, nel trovare una nuova modalità di senso nell’organizzazione dell’esperienza. Quando il lutto progredisce il sopravvissuto integra gradualmente la «storia dell’evento» della morte all’interno della sua narrativa di vita ricavando una sicurezza di attaccamento dalla «storia passata» di una relazione con la persona deceduta: man mano che la perdita viene integrata la persona riconosce la realtà della morte, mantiene un accesso ad emozioni agrodolci in forma modulata, rivede la rappresentazione mentale della persona deceduta e la natura del legame, formula una coerente narrazione della perdita e ridefinisce obiettivi e ruoli di vita (Pesci, 2014).
Il lutto complicato è una forma intensa e duratura del dolore che prende la vita di una persona. Quando una persona cara muore è naturale sperimentare un dolore acuto, ma il lutto complicato è diverso. Il lutto complicato è una forma di dolore che si “impadronisce” della mente di una persona, tanto che gli individui con lutto complicato spesso dicono di sentirsi “bloccati” (Neimeyer et al., 2011; Neimeyer, 2012). Per molte persone il dolore non va mai via completamente, ma passa in secondo piano. Pensieri e ricordi dei propri cari sono profondamente intrecciati nella mente di una persona che definiscono la loro storia e colorano la loro visione del mondo. La mancanza del defunto può essere una parte importante della vita di chi è in lutto, ma non interrompe l’esistenza a meno che una persona non presenti le caratteristiche di un lutto complicato. Per chi vive un lutto complicato il dolore domina la vita piuttosto che stare in secondo piano (Pesci, 2014). Il termine “complicato” si riferisce a fattori che interferiscono con il processo di fronteggiamento naturale. Questi fattori potrebbero essere correlati alle caratteristiche della persona in lutto, alla natura del rapporto con il defunto, alle circostanze della morte o alle cose che si sono verificate dopo la morte. Le persone con lutto complicato (Neimeyer, 2006) sanno che il loro amato se ne è andato, ma ancora non riescono a crederci. Spesso hanno forti sentimenti di nostalgia che non sembrano diminuire col passare del tempo; pensieri, ricordi o immagini del defunto spesso riempiono la loro mente, catturando la loro attenzione; possono avere forti sentimenti di amarezza o rabbia legati alla morte, trovare difficile immaginare che la vita senza la persona deceduta abbia scopo o significato e può sembrare che la gioia e la soddisfazione se ne siano andate per sempre (Pesci, 2014).

 

I modelli descrittivi dell’elaborazione del lutto

 

In Psicologia il tema del lutto viene introdotto da Freud (1915) in “Lutto e melanconia” che lo analizzò utilizzandolo come modello per una teoria interpretativa dei fenomeni depressivi legati alla perdita di una persona cara. Dopo di lui la psicologia, soprattutto quella clinica, continuò ad occuparsi del tema del lutto, focalizzandosi prevalentemente sul paziente adulto “depresso” piuttosto che sullo studio del processo normale del lutto. Saranno Lindemann (1944) e Marris (1958), pionieri delle ricerche sul lutto, a studiare le reazioni tipiche ad eventi luttuosi e le loro deviazioni patologiche. La prima sistematica formulazione dei processi psicologici che intervengono nell’elaborazione della perdita si deve a John Bowlby (1980) e alla sua teoria dell’attaccamento. Bowlby (1980) individua quattro fasi, non lineari, che caratterizzano in maniera universale il percorso psicologico di elaborazione del lutto. La prima fase, definita dello “stordimento”, è caratterizzata dal rifiuto della notizia. La persona pur avendo riconosciuto cognitivamente l’evento, emotivamente lo rifiuta. Questa fase generalmente è caratterizzata da una calma innaturale che può essere interrotta da scoppi intensi di dolore o rabbia. A questa segue quella dello “struggimento” dove la realtà della morte viene riconosciuta in occasione dell’organizzazione e della partecipazione al funerale, cioè l’occasione del “decesso pubblico”. Si ha tipicamente la comparsa improvvisa di scoppi di pianto, in particolare quando la persona parla del defunto, un pianto che ha un notevole significato adattivo. La frustrazione conseguente all’impossibilità del ricongiungimento genera rabbia che si può manifestare in diversi modi: contro se stessi, contro altri o contro il defunto. Quando la persona si rende conto che il proprio caro non potrà ritornare, si apre la terza fase, della “disorganizzazione”, che comporta una revisione di se stessi e della situazione: la persona si sente depressa e apatica e si distanzia da amici e parenti. Infine, nella “riorganizzazione” l’individuo può iniziare a costruire il proprio nuovo modello di vita, si tratta di una fase in cui cambia la narrativa di vita e il legame con il defunto. Parallelamente agli studi psicoanalitici e ad altri approcci psicologici, sono stati portati avanti anche ricerche sugli eventi stressanti, per esempio quelli che hanno portato Holmes e Rahe (1967) a sviluppare la loro scala. Solo più tardi l’attenzione si focalizzò non tanto sull’evento in sé, ma sulle valutazioni cognitive ed emotive legate ad esso e sulle strategie di coping (Lazarus e Folkman, 1984). Dagli anni ’70 molti studiosi hanno cercato di sviluppare modelli concettuali descrittivi del decorso del lutto e del cordoglio secondo fasi o stadi (Stroebe e Schut, 1994; Worden, 1996; Rubin, 1999; d’Urso e Trentin, 2002; Sforza e Tizon, 2009) che, sebbene differenti fra loro, condividono l’idea che il processo di adattamento alla perdita sia qualcosa che non si svolge in senso lineare e sempre uguale. Un modello molto utilizzato per descrivere le varie fasi dell’elaborazione del lutto è quello messo a punto da Elisabeth Kübler-Ross. Kübler-Ross (1969) ha descritto un modello a cinque fasi per capire le dinamiche psicologiche più frequenti della persona a cui è stata diagnosticata una malattia terminale, un modello usato poi per descrivere in generale tutte le situazioni di elaborazione del lutto. In quanto modello a fasi e non a stadi, non è necessariamente consequenziale per cui le fasi possono anche alternarsi e presentarsi più volte nel corso del tempo. In generale, “fuori” dai modelli, possiamo affermare che, quando il lutto progredisce, il sopravvissuto integra gradualmente la «storia dell’evento» della morte all’interno della sua narrativa di vita ricavando una sicurezza di attaccamento dalla «storia passata» di una relazione con la persona deceduta. Man mano che la perdita viene integrata la persona riconosce la realtà della morte, mantiene un accesso ad emozioni opposte in forma modulata, rivede la rappresentazione mentale della persona deceduta e la natura del legame, formula una coerente narrazione della perdita e ridefinisce obiettivi e ruoli di vita (Pesci, 2014).

 

Fattori che possono complicare il processo di elaborazione del lutto

 

Quando la morte segue ad una malattia prolungata il processo di elaborazione del lutto si attiva prima del decesso (lutto anticipatorio). Il lutto anticipatorio ha una funzione adattiva, cioè quella di preparare le persone al distacco, ma una assistenza impegnativa e lunga del malato può complicare il processo di elaborazione della perdita.
La morte improvvisa, invece, è la situazione che più comunemente rende complicata l’elaborazione del lutto, in particolare se si tratta di una morte violenta (omicidi, suicidi, incidenti stradali ecc.). Se la persona ha partecipato all’evento che ha causato la morte ed è sopravvissuto, pur in assenza di responsabilità specifiche, può avere profondi sensi di colpa, processi di auto-attribuzione di causa ecc. che complicano l’elaborazione. Similmente uno dei fattori più comunemente associati ad un lutto complicato è la morte per suicidio. Il suicidio infatti è comunemente ritenuto evitabile e genera spesso conseguenti attribuzioni di responsabilità e sentimenti di colpa.
Un altro fattore che può complicare notevolmente il lutto è rappresentato da relazioni non riconosciute (ad esempio quelle extraconiugali o omosessuali), oppure da perdite non riconosciute (ad esempio aborti, morti perinatali, perdita di un figlio dato in adozione, perdita di un animale domestico, perdita psico-sociale di una persona ancora in vita, ma colpita dal morbo di Alzheimer) o, ancora, persone a cui non viene riconosciuto di essere in lutto (bambini ritenuti troppo piccoli per capire il lutto, adulti ritenuti troppo vecchi per poter elaborare il lutto, diversamente abili ecc.): tutte queste sono situazioni che possono rendere il processo elaborativo particolarmente complicato.
Quando il sistema-famiglia viene perturbato dalla morte di un suo membro, lo stile di organizzazione che segue sarà un mediatore della capacità di elaborazione del lutto. Se la comunicazione all’interno della famiglia funziona bene, la divisione dei ruoli è sufficientemente flessibile, la famiglia sarà in grado di far meglio fronte al cambiamento; se, invece, la comunicazione è disfunzionale e i ruoli sono rigidi, il sistema-famiglia è messo a dura prova. Un evento traumatico fa apparire la quotidianità come “senza senso”, enfatizzando una sproporzione tra l’importanza dell’evento stesso e la vita fatta di gesti “banali” e routine. Il quotidiano però si ripropone in gesti e routine automaticamente che nondimeno sembrano da “creare” nuovamente, quasi come se si presentassero per la prima volta. Vi è un bisogno di ricostruire il proprio mondo, di ristabilire una uniformità tra il mondo di prima e quello di adesso. Ricostruire è una ricerca di senso, il tentativo di dare un senso a quanto si sta vivendo. La ricerca di senso è la chiave della salute mentale (Frankl, 1992) e le persone sono motivate a costruire e mantenere una auto-narrazione significativa, “una struttura cognitivo-affettivo-comportamentale che organizza le ‘micro-narrazioni’ della vita quotidiana in una ‘macro-narrazione’ che consolida la nostra auto-comprensione, stabilisce la nostra caratteristica gamma di emozioni e di traguardi e guida la nostra rappresentazione sul palcoscenico del mondo sociale” (Neimeyer, 2004, pp.53-54).
La perdita di una persona cara può rappresentare una sfida alla validità delle credenze fondamentali e minare alla base la coerenza dell’auto-narrazione. Le perdite possono mettere alla prova le condizioni fondamentali che sostengono la reale esperienza vissuta, andando a colpire il proprio senso di significato e coerenza (Neimeyer et al., 2006). Le persone possono risolvere l’incongruenza intraprendendo uno dei due processi generali di ricostruzione di significato (Neimeyer, 2006): assimilare l’esperienza della perdita nelle loro convinzioni pre-perdita e nelle loro auto-narrazioni (Janoff-Bulman, 1992; Park e Folkman, 1997) mantenendo in sostanza la coerenza con chi erano prima o adattarsi alla perdita riorganizzando, approfondendo o espandendo le loro credenze fondamentali e la loro auto-narrazione per abbracciare la realtà della perdita. L’eventuale fallimento di questi processi di costruzione del significato si associa con reazioni di lutto complicato (Neimeyer, 2002).

 

Interventi di aiuto: prevenzione del lutto complicato, psicoterapia e sostegno psicologico per l’elaborazione del lutto

 

Una analisi delle modalità di elaborazione del lutto finalizzata ad individuare i casi in cui è prevedibile uno sviluppo complicato (non risolto) può permettere di intervenire precocemente.
Identificati gli individui che possono essere più vulnerabili agli effetti del cordoglio sulla loro salute psico-fisica, sarebbe auspicabile adottare strategie ed interventi preventivi. Gli interventi possono essere di vario tipo: interventi sulla crisi, counseling, gruppi di auto-aiuto, programmi specifici per gruppi con lutti particolari (Raphael, 1977; Lilford et al., 1994; Lohnes e Kalter, 1994).
Psicoterapia e sostegno psicologico del lutto sono forme di intervento che mirano ad aiutare le persone ad affrontare il dolore e il lutto in seguito alla morte (avvenuta o imminente) dei propri cari, ma anche di fronte a grandi cambiamenti di vita che scatenano intensi sentimenti di dolore (ad esempio, il divorzio/separazione). Quando una persona è così disattivata per il suo dolore e si sente sopraffatta dalla perdita (avvenuta o imminente) nella misura in cui i suoi processi di coping consueti sono disabilitati o non funzionali, in questo caso occorre facilitare l’espressione delle emozioni e il pensiero della perdita, compresa la tristezza, l’ansia, la rabbia, la solitudine, il senso di colpa, il sollievo, il senso di isolamento, la confusione ecc. (Neimeyer, 2006). Tali interventi facilitano il processo di risoluzione delle reazioni naturali per la perdita e si possono attivare anche quando una persona soffre di “lutto anticipatorio”, per esempio una preoccupazione su una persona amata la cui morte è imminente o probabile. Vi è una distinzione tra sostegno psicologico e psicoterapia del lutto. Il primo cerca di aiutare le persone che si muovono attraverso un “semplice” dolore relativo alla perdita di una persona cara; la terapia, invece, prevede l’utilizzo di procedure cliniche per le reazioni traumatiche (o “lutto complicato”), ovvero quando la reazione di dolore si prolunga o si manifesta attraverso alcuni sintomi fisici o comportamentali o attraverso una risposta al di fuori della gamma della “normalità culturale” (Neimeyer, Baldwine Gillies, 2006; Neimeyer et al., 2011; Neimeyer, 2012). Il principio di aiutare i clienti ad elaborare e integrare la storia-evento della morte può essere perseguito usando numerose procedure che possono essere scelte sulla base dei bisogni, delle forze e delle preferenze specifiche del cliente così come delle particolari competenze del terapeuta (Neimeyer, Baldwine Gillies, 2006; Neimeyer et al., 2011; Neimeyer, 2012). Il terapeuta può attingere ad un’ampia gamma di metodi per aiutare i pazienti a cercare di trovare un significato alla storia-evento della morte così come alla loro storia di vita nel periodo immediatamente successivo. Le forme «narrative» per elaborare la storia-evento della perdita spaziano da procedure altamente esplicite di maggiore attinenza al lutto iniziale (o evitato), alle procedure più letterarie e metaforiche che aiutano l’integrazione a lungo.

 

Ti interessa approfondire la tematica del lutto e apprendere abilità cliniche per condurre interventi preventivi e di sostegno psicologico in contesti di lutto? Segui la formazione on line in Psicologia del lutto e della sua elebaorazione, riservata esclusivamente a Psicologi, Psicoterapeuti, Psichiatri, Neuropsichiatri Infantili e Studenti o specializzandi in queste discipline.

 

Articoli correlati